Iter
Marzo 2017 – Notifica del Regno Unito del ritiro (“withdrawal”) dall’Unione Europea e apertura dei negoziati con il mandato a concluderli entro marzo 2019. Tale scadenza è, di fatto, fissata dalle regole dell’Unione Europea che prevedono un tempo massimo di due anni per definire i termini nel caso di fuori uscita di uno Stato membro.
Aprile 2017 – Risoluzione del Parlamento Europeo per l’apertura dei negoziati ed orientamenti per le linee guida.
Settembre 2017 – Proposta del Regno Unito finalizzata alla possibilità che venga previsto un periodo transitorio successivamente al marzo 2019 dopo la conclusione del negoziato e conferma della determinazione della fuoriuscita del Regno dal Mercato unico e dall’Unione doganale.
Dicembre 2017 – Il Consiglio europeo approva l’accordo raggiunto sulla prima fase.
Marzo 2018 – Approvazione di una bozza di accordo sui punti chiave e sulla durata del periodo di transizione che sarà di ventuno mesi, pertanto terminerà a dicembre 2020.
In questo periodo il Regno Unito resterà nel Mercato unico e continuerà ad applicare le norme europee (compresa la PAC), ma perderà il diritto di voto e la presenza nelle istituzioni della UE e potrà aprire negoziati di libero scambio con altri Paesi terzi.
Inoltre, dichiarazioni di Theresa May in merito all’intenzione di mantenere un’equa concorrenza tra le parti e l’augurio che nel Regno Unito i livelli qualitativi e di controllo nei settori agricolo e della pesca restino alti come quelli applicati dalla UE, ma prevedendo margini di elasticità.
Pubblicazione di una risoluzione di orientamenti del Parlamento europeo e delle linee guida adottate dal Consiglio europeo.
Aprile 2018 – Il parlamento del Regno Unito vota una mozione non vincolante affinché UK resti nell’Unione doganale UE.
Questo faciliterebbe il mantenimento del libero mercato tra Unione Europea e Regno Unito ed aiuterebbe a risolvere la problematica della frontiera tra Irlanda del nord e Repubblica d’Irlanda.
Giugno 2018 – La Commissione europea pubblica oltre 60 avvisi sui preparativi settoriali necessari nel caso di assenza di accordo con il Regno Unito.
Luglio 2018 – L’UK presenta alla Commissione europea un Libro bianco contenente proposte dettagliate su tutti i capitoli economici nel quale viene indicato che per il commercio dei prodotti industriali, agricoli, agroalimentari e della pesca si adotterà una linea “morbida”, ovvero verrà mantenuta una sorta di mercato unico.
Questo risolverebbe anche le problematiche relative alla frontiera irlandese.
La UE si esprime negativamente sostanzialmente sul principio di affrontare in termini differenti merci e persone.
Novembre 2018 – Il governo del Regno Unito ed il Consiglio europeo approvano un accordo per la fuoriuscita dall’Europa dello stesso Regno Unito (Withdrawal Agreement) che sostanzialmente rinvia ancora di due anni, dopo il 29 marzo 2019, l’attuale situazione nei rapporti commerciali, sociali, eccetera tra le due parti.
Si è aggiunta, inoltre, alle altre questioni da risolvere quella rilevata dal governo spagnolo relativa alle relazioni con Gibilterra, attualmente territorio britannico.
Gennaio 2019 – La Camera dei Comuni britannica (il Parlamento) boccia la proposta di accordo con un’altissima percentuale. Il giorno successivo alla votazione il governo ottiene nuovamente la fiducia, per pochissimi voti, nell’ambito di un procedimento in qualche modo dovuto in seguito al rifiuto dell’accordo proposto proprio dal governo. Infine Theresa May presenta il così detto “Piano B”, una nuova proposta di intesa.
Marzo 2019 – Le votazioni della Camera dei Comuni britannica tenutesi tra il 12 ed il 15 marzo hanno portato: ad un nuovo rigetto della proposta di accordo concordata tra il governo UK e la UE; all’indicazione (vincolante politicamente, ma non legalmente) che il Regno Unito non possa, né oggi né mai, lasciare l’Unione europea senza un accordo; alla richiesta di proroga della scadenza del 29 marzo 2019 fino al 30 giugno 2019 inoltrata, poi, al Consiglio europeo dal governo britannico. La data del 30 giugno è collegata a quella dell’insediamento del nuovo Parlamento europeo: 1° luglio 2019.
Il Consiglio ha in effetti concesso al Regno Unito una proroga del termine fissato per la sua uscita dalla UE, ma fino al 22 maggio – ovvero prima delle elezioni del Parlamento europeo – se il Regno Unito accetterà di aprire un negoziato con l’Unione, oppure fino al 12 aprile nel caso in cui, al contrario, la decisione sarà di uscire senza alcun accordo.
Entro marzo 2019 – E’ previsto che l’Agenzia europea per i medicinali e l’Autorità bancaria europea, attualmente con sede a Londra, ed altri organismi dislocati nel Regno Unito, come il Centro di monitoraggio della sicurezza Galileo, debbano lasciare l’UK per essere trasferiti in un altro Stato membro della UE. E così stanno facendo.
Aprile 2019 – In seguito ad ulteriori votazioni della Camera dei Comuni britannica negative, su mandato dello stesso parlamento, il governo UK ha chiesto ancora una volta una proroga dei termini di recesso al 30 giugno 2019.
Il 10 aprile il Consiglio europeo ha concesso al Regno Unito una proroga fino al 31 ottobre 2019 con la possibilità di uscire dalla UE in qualsiasi data precedente. In questo periodo la Gran Bretagna resterà membro dell’Unione europea a tutti gli effetti, con doveri e diritti, e dovrà partecipare alle elezioni del Parlamento europeo. Nel caso non procedesse con le elezioni, il primo giugno uscirà dalla UE.
Contenuti
Situazione nel caso di apertura del negoziato
La proposta di accordo (Withdrawal Agreement) approvata dai negoziatori il 14 novembre 2018 ed il 25 novembre dal Consiglio europeo ed infine bocciata dal Parlamento britannico per tre volte (15 gennaio, 12 e 29 marzo 2019) prevede un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2020, con la possibilità di una sola proroga per un altro anno.
Con l’augurio che ancora l’accordo possa essere accettato dalla parte britannica, ecco una sintesi dei contenuti delle tematiche di nostro primario interesse nel periodo transitorio.
Permane la libera circolazione dei beni tra i due mercati senza necessità di modificare o ri-etichettare. Questo vale anche per le merci collocate sui due mercati, reciprocamente, prima della fine del periodo transitorio.
In via del tutto eccezionale, i movimenti di animali vivi e gli scambi di prodotti di animali tra i due mercati, a partire dalla fine del periodo di transizione, sono soggetti alle regole valide nelle due parti sui controlli sanitari ai confini, a prescindere dal fatto che siano stati movimentati prima o dopo dalla fine del periodo di transizione.
Rimane valido il reciproco riconoscimento delle indicazioni geografiche in UK (per quelle UE) e nella UE (per quelle UK). Successivamente è tutto da negoziare.
La UE tratta l’UK come se fosse uno Stato membro ad eccezione della sua partecipazione nelle istituzioni e strutture governative della UE stessa.
Il periodo transitorio, quindi, servirà anche per il trasferimento britannico dell’amministrazione, del business, eccetera.
Confagricoltura, naturalmente, guardava con favore a questa intesa ritenendo il Withdrawal Agreement l’unica via percorribile in questo momento, pur essendo consapevole che i veri nodi della questione sarebbero stati solo rinviati. Riteneva positivo, comunque, che l’Unione Europea avesse più tempo disponibile per affrontare la situazione determinata dalla Brexit, essendo di notevole complessità.
Con la bocciatura da parte del Regno Unito della proposta di accordo, la situazione è risultata particolarmente critica e l’Unione europea ha mostrato subito segnali di ulteriore apertura affinché si potesse ancora tentare di scongiurare la fuori uscita del Regno e la stessa fuori uscita senza un accordo che la renda meno dannosa per l’una e per l’altra parte.
Tra le diverse ipotesi che erano emerse vi è la possibilità di estensione dell’articolo 50, che in termini pratici vuole dire uno slittamento in avanti della data di recesso (prevista il 29 marzo 2019), così da poter avere ulteriori margini per la negoziazione.
In termini giuridici risulterebbe che l’estensione dell’articolo 50 possa essere richiesta unilateralmente dal Paese che ha chiesto il recesso (Regno Unito) per poi essere approvata dai singoli 27 Stati membri ed all’unanimità.
Una buona notizia è che sul sito del governo UK sono stati pubblicati dei documenti – il contenuto dei quali ci è stato confermato dall’Ambasciata britannica in Italia – ad oltre l’80% dei prodotti agricoli ed agroalimentari il Paese non applicherà dazi, tra questi vi sono i settori vitivinicolo ed ortofrutticolo.
Certamente, resta il rammarico che un Paese così avanzato come il Regno Unito non abbia saputo capire per tempo l’insensatezza della sua azione e la debolezza che questa gli comporta.
Per dovere di informazione, aggiungiamo che si è intravista anche la possibilità che UK proceda ad un nuovo referendum, però non con lo stesso quesito del precedente (Brexit sì o no), ma con la richiesta di esprimersi se approvare o meno l’accordo o, più in generale, un accordo. Da rilevare anche le quasi 6 milioni di firme alla petizione indetta nel Regno Unito in contrasto alla Brexit.
La Commissione europea, infine, ha informato che è pronta a sostenere i settori che potrebbero subire periodi di crisi a causa della Brexit con provvedimenti immediati similari a quelli assunti per l’embargo russo. Tra le produzioni maggiormente citate sono i settori bovino, lattiero-caseario, ortofrutticolo e del florovivaismo.
In merito aveva preso posizione anche la Task force costituita presso il COPA COGECA correggendo quella di sostegno al solo settore bovino (con particolare riferimento al mercato irlandese) in seguito alla sensibilizzazione di Confagricoltura.
Situazione precedente
L’Unione Europea ha adottato le linee guida del negoziato con un approccio in due fasi. A dicembre 2017 i rappresentanti del governo del Regno Unito e della Commissione europea hanno trovato un accordo sui seguenti tre punti posti come condizione dal Consiglio europeo per poter passare alla seconda parte negoziale ed affrontare, quindi, i temi relativi alle relazioni commerciali.
o Mantenimento dei diritti dei cittadini residenti nelle due parti.
Verranno mantenuti gli attuali diritti dei cittadini europei residenti nell’UK, con reciprocità da parte della UE, con la sola limitazione di non poter attuare il ravvicinamento dei parenti.
Sembrerebbe che l’Europa abbia ceduto sulla protezione dei cittadini UE da parte della Corte di giustizia europea, che non è stata approvata dal Regno Unito, quindi gli unici tribunali che potranno intervenire saranno quelli britannici e le dispute potranno essere deferite alla Corte europea solo per i primi otto anni di Brexit.
o Stabilità nei rapporti tra il Regno Unito e l’Irlanda.
Non verranno ripristinate frontiere fisiche tra l’Irlanda del nord che fa parte dell’UK e la Repubblica d’Irlanda che fa parte della UE.
Resta ancora da definire come attuare questo principio in termini operativi, tanto che la soluzione concreta a questa problematica è diventata il vero ostacolo all’apertura di un negoziato.
o Liquidazione finanziaria da parte del Regno Unito verso la UE dei costi di recesso e della quota di passività e quanto altro previsto dagli obblighi fissati per gli Stati dell’Unione Europea.
Il Regno Unito pagherà il suo debito. L’intesa raggiunta a dicembre 2017 è stata sul sistema di calcolo di tale debito e non sull’importo, che viene stimato tra i 40 ed i 60 miliardi di euro.
Quindi, seppure l’Unione Europea non abbia ottenuto totalmente quanto si era riproposta, sembra che la fermezza sempre dichiarata dal suo negoziatore Michel Barnier abbia dato i suoi frutti e che il governo britannico abbia perso, di fatto, la “spavalderia” e la durezza iniziali – con disappunto degli “integralisti” della Brexit – in seguito prima all’indebolimento del Primo Ministro conseguente ai risultati delle elezioni tenutesi a giugno 2017 per volere della stessa May, poi il 13 dicembre con la votazione nel Parlamento britannico di un emendamento alla legge quadro sulla Brexit che in sostanza fa sì che l’accordo finale dovrà essere approvato dal Parlamento stesso e non solo dal governo e probabilmente a causa delle difficoltà che il Regno Unito sta registrando concretamente dovute alla decisone di fuoriuscita ad iniziare dalla svalutazione della sterlina e dal conseguente aumento del carovita.
C’è da aggiungere che era trapelato che “gli europeisti” – tra i quali Tony Blair e John Kerr (ex Ambasciatore britannico a Bruxelles ed ex Segretario generale della Convenzione europea che redasse i Trattati europei) – si stavano muovendo anche con incontri informali con rappresentanti della UE per bloccare la Brexit, sostenendo apertamente, peraltro, che questa via fosse ancora possibile. Inoltre, recentemente sta venendo allo scoperto una sorta di movimento pro – Europa che chiede di tornare al referendum. In ogni caso, resta da vedere quale sarà l’eventuale strada negoziale che potrebbero prendere le due parti. Le ipotesi indicano la possibilità che venga scelta l’impostazione dell’accordo di associazione, tipo quello UE – Norvegia, che prevede la libera circolazione delle persone (spazio Schengen) e delle merci (mercato comune) o invece lo schema del CETA (Accordo UE – Canada) nel quale la posizione del Regno Unito sarebbe proprio come un vero Paese terzo.
A tale proposito, a marzo 2018 il Parlamento europeo ha pubblicato una risoluzione di orientamenti sulle future relazioni tra l’Unione Europea ed il Regno Unito nel quale si schiera decisamente a favore dell’accordo di associazione ed auspica ancora che il Regno Unito decida di rimanere nel Mercato unico e nell’Unione doganale, poiché con questa soluzione verrebbe garantita la prosecuzione di scambi commerciali senza attriti.
Il documento del Parlamento è molto dettagliato e tra gli altri temi affronta anche quelli relativi ad agricoltura, agroalimentare e pesca, anche ricordando che l’accesso al mercato UE è subordinato al rigoroso rispetto della legislazione della UE stessa in materia di sicurezza alimentare, OGM, pesticidi, benessere animale, etichettatura, norme sanitarie e fitosanitarie, salute umana, animale e vegetale.
Per quanto riguarda la seconda ipotesi – un accordo similare a quello siglato con il Canada – forse lascerebbe più libero l’UK di procedere poi ad accordi di libero scambio con altri Paesi.
A proposito della facilità che il Regno Unito proceda con accordi di libero scambio con altri Paesi può essere emblematico citare la notizia riportata dal Financial Times a novembre 2017 che sembra che gli Stati Uniti abbiano comunicato che stipuleranno un accordo commerciale con l’UK solo nel caso in cui questo accetti le disposizioni normative statunitensi lasciando entrare ad esempio il pollo trattato con il cloro e le carni provenienti da animali per i quali siano state utilizzate sostanze ormonali. E da qualche indiscrezione sembrerebbe che anche l’Australia intenda assumere la stessa posizione.
In conclusione, nel rapporto sullo stato del negoziato redatto l’8 dicembre 2017 la Commissione europea ha indicato che lo stesso dovrebbe essere concluso, nei contenuti, entro l’autunno del 2018 così da potere avere i tempi necessari alla dovuta approvazione del Consiglio e del Palmento UE e del Regno Unito – con le sue procedure interne – per formalizzare il “Withdrawal Agreement” entro la data del 29 marzo 2019.
Nel frattempo l’Unione Europea, con una lettera a firma congiunta con il Regno Unito, ad ottobre 2017 ha sensibilizzato il WTO sull’intera materia della Brexit che ha dato il via alla realizzazione di appuntamenti a tre (UE, UK e WTO) a Ginevra nei quali viene affrontata anche la tematica della ripartizione dei contingenti tariffari fissati dallo stesso WTO.
Come illustrato nella sessione introduttiva, a giugno 2018 la Commissione europea ha pubblicato oltre 60 avvisi sui preparativi settoriali necessari nel caso di assenza di accordo con il Regno Unito, ipotesi che purtroppo va tenuta ancora presente.
I capitoli considerati dalla Commissione sono sinteticamente: le responsabilità nella catena di distribuzione per i prodotti oggetto di scambi commerciali, gli importatori, i distributori, eccetera; i certificati, le licenze e le autorizzazioni; le dogane, l’IVA e le accise; le regole di origine; le restrizioni nell’import e nell’export delle merci; i trasferimenti dei dati personali.
Successivamente (a luglio 2018) il Regno Unito ha presentato alla Commissione europea un Libro bianco contenente proposte dettagliate su tutti i capitoli economici nel quale viene indicato che per il commercio dei prodotti industriali, agricoli, agroalimentari e della pesca si adotterà una linea “morbida”, ovvero verrà mantenuta una sorta di mercato unico. Questo risolverebbe anche le problematiche relative alla frontiera irlandese.
Ma questa linea adottata dal governo UK, in realtà, ha suscitato le dimissioni di componenti importanti quali il Ministro degli esteri britannico Boris Johnson ed il Ministro della Brexit David Devis con il suo stretto collaboratore Steve Baker.
La Commissione europea, comunque, ha tempo 90 giorni per esprimersi sul Libro bianco britannico per poi iniziare la negoziazione. Risulta, però, che da subito il negoziatore europeo Bernier si sia espresso in termini negativi nei confronti della proposta britannica, della quale salverebbe solo alcuni elementi utili.
Comparto agricolo ed agroalimentare
Il 60% dei prodotti agricoli ed agroalimentari consumati nel Regno Unito sono importati e circa il 75% di questi proviene dalla UE (con un trend in costante crescita sia in valore che in volume). (Fonte COPA COGECA). (Nel 2017 il 73% in valore; fonte: Commissione europea).
Il Regno Unito si configura come il quarto mercato di export alimentare per l’Italia, dopo Germania, Francia e Stati Uniti, e per alcuni settori si tratta di un acquirente fondamentale.
Ad esempio nel 2018 si è confermato il più importante importatore di spumanti italiani con l’assorbimento del 29% del valore dell’export totale e del 30% in quantità delle nostre bollicine (Istat). In particolare pressoché il 38% in valore ed il 41% in volume dell’export di Prosecco DOP va nel Regno Unito. Inoltre, circa il 20% delle nostre esportazioni di pelati e polpe di pomodoro è destinato al mercato britannico. Anche per i formaggi grana (Parmigiano Reggiano e Grana Padano) l’export verso il Regno Unito conta per ben il 9% di quello totale (Fonte Agrifood Monitor/Nomisma).
Per quanto riguarda la UE, dalla “Relazione preliminare sugli impatti dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea” pubblicata dal COPA COGECA nella prima versione a marzo 2017 emerge che i settori produttivi soggetti a maggiore rischio sono la carne bovina, il lattiero caseario, il vino, l’ortofrutticolo ed il riso.
Tolta la carne bovina, che può interessarci meno direttamente, per i quattro settori che riguardano da vicino le esportazioni italiane, in particolare per il settore vitivinicolo e per il riso, il Regno Unito potrebbe trovare differenti fornitori con una certa facilità.
A tale proposito, va già rilevato che Regno Unito ed Australia hanno di recente siglato un accordo sul vino che riprende quello in atto dal 2010 tra la UE e la stessa Australia; formalmente non si tratta un accordo di libero scambio (FTA), ma nei fatti è molto similare. Ed è ipotizzabile che tale intesa andrà a favore anche della Nuova Zelanda poiché ha un accordo di libero scambio nel settore proprio con l’Australia.
I prodotti per i quali, invece, la Commissione reputa prevedibile un impatto contenuto sono il grano, gli oli vegetali (escluso olio di oliva) e le uova.
Naturalmente le tematiche che si stanno affrontando sono moltissime e riguardano tutte le regolamentazioni europee: dalla complessa riorganizzazione delle dogane, al riconoscimento del sistema delle denominazioni, alle normative sul biologico, a quelle sull’eradicazione delle malattie, al benessere animale, eccetera.
Cosa ne pensa Confagricoltura
Esponiamo di seguito una sintesi di base della posizione di Confagricoltura.
* Nelle linee generali riteniamo necessario impostare la fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione Europea limitando il più possibile i cambiamenti nei rapporti commerciali tra UE e UK, ovvero cercando di creare un’area di libero scambio regolamentata con criteri similari ad altri accordi stipulati tra la UE ed alcuni Paesi europei, quale ad esempio la Norvegia.
Il Regno Unito rappresenta per l’agroalimentare europeo un importante mercato di sbocco, pertanto inasprire i rapporti con il rischio che il Paese applichi misure di ritorsione non sarebbe certo favorevole all’attività ed all’economia delle imprese UE.
Contemporaneamente l’Unione Europea rappresenta un fornitore di rilievo per UK; riteniamo, quindi, che sarebbe interesse comune non creare ostacoli al commercio né favorire, con inopinate chiusure, l’afflusso di prodotti dai Paesi Terzi che potrebbero squilibrare il mercato interno.
* Il Regno Unito è uno dei principali contribuenti netti del bilancio UE. Riteniamo, quindi, sia necessaria la massima attenzione affinché l’assestamento del bilancio UE stesso dovuto alla fuoriuscita del Regno non vada a gravare sui fondi destinati alla PAC.
* Si dovrà procedere alla rinegoziazione dei contingenti tariffari agevolati dei prodotti in ingresso interessati – stabiliti negli accordi con Paesi terzi – diminuendone in proporzione i quantitativi, così come avviene – al contrario – nel caso dell’ingresso nella UE di nuovi Stati.
Nel capitolo dei Contenuti abbiamo fatto cenno all’approccio della UE con il WTO anche sui contingenti tariffari, ma in quel caso si tratta solo di quelli fissati dallo stesso WTO; i contingenti concordati con i Paesi terzi dovranno essere rinegoziati nell’ambito di ciascun accordo di libero scambio in atto.
* E’ importante che il sistema di imposte dirette ed accise sia armonizzato con quello UE affinché non si trasformi, di fatto, in un ostacolo al commercio.
* Sui singoli prodotti ci riserviamo di analizzare più a fondo la situazione quando (e se) il negoziato entrerà nel vivo della parte commerciale, ma segnaliamo comunque come settori sensibili per l’Italia in particolare quelli vitivinicolo, risicolo ed ortofrutticolo. Da rilevare già da ora, in ogni caso, che il Regno Unito sta dimostrando chiaramente di essere intenzionato a pervenire ad accordi di libero scambio con altri Paesi terzi e questa eventualità si tradurrebbe per gli Stati della UE in un aumento della concorrenza da parte di altri fornitori che potrebbero usufruire di condizioni più favorevoli rispetto a quelle applicate per loro.
A titolo di esempio, per quanto riguarda i prodotti di maggiore interesse per l’Italia, possibili competitor potrebbero essere per il vino USA, Australia ed America latina, per il riso India, Pakistan e Thailandia – con i quali UK ha già canali commerciali aperti – e per l’ortofrutta i Paesi del nord Africa, ma anche il Sudafrica.
* Abbiamo evidenziato nelle diverse sedi che la Commissione europea debba prevedere un budget di sostegno per i prodotti agricoli da utilizzare nei primi anni di applicazione della Brexit in caso di possibili crisi settoriali e risulta che la Commissione darà seguito a questo principio.
* Potrebbe essere l’occasione per fare un passo avanti nel riconoscimento delle IIGG mirando ad ottenere l’approvazione da parte del Regno Unito del regime in quanto tale, lasciando l’eventuale formulazione di una lista solo come ultima eventualità se nel corso del negoziato non si riuscisse ad ottenere l’obiettivo complessivo. Non è escluso che tale ipotesi potrebbe essere di interesse anche del Regno Unito avendo questo circa 70 denominazioni tutelate.
Nell’ambito della Task force Brexit, la DBV tedesca, in particolare, ha sostenuto con forza questa posizione di Confagricoltura che è stata poi esplicitata come posizione unanime della Task force stessa.
Task force Brexit COPA COGECA
Confagricoltura è parte attiva della “Task force del COPA e della COGECA sulla Brexit” costituitasi alla fine di settembre 2017 con il mandato del Presidium di seguire il processo negoziale e formulare raccomandazioni alle presidenze degli stessi COPA e COGECA.
La Task force ha dato il via ai lavori mettendo a punto un documento di posizione che riprende in sostanza i temi riportati nella sezione precedente, ovvero il pensiero di Confagricoltura.
Si è riunita otte volte e sono state affrontate le seguenti principali tematiche. Quasi certamente continuerà ad operare nei primi tempi di Brexit o nel corso del negoziato – se vi sarà –, seppure il mandato del Presidium fosse fino alla scadenza del 29 marzo 2019.
Dogane;
aspetti sanitari e fitosanitari;
norme di origine;
Indicazioni geografiche;
contingenti tariffari dell’OMC;
accordi di libero scambio;
clima e protezione dell’ambiente;
PAC;
protezione dei diritti dei lavoratori;
iva;
accise;
accise sui carburanti;
- diritto della concorrenza (in merito alla quale il governo britannico ha proposto di impegnarsi fin da subito a mantenere una normativa comune all’UE sugli aiuti di stato).
Cosa ne pensa (di base) la UE sul negoziato commerciale
Nel comparto dell’agricoltura, dell’agroalimentare e della pesca l’Unione Europea persegue, per ora, i principali seguenti obiettivi:
azzeramento totale dei dazi;
rigoroso rispetto della legislazione della UE in materia di sicurezza alimentare, OGM, pesticidi, benessere animale, etichettatura, norme sanitarie e fitosanitarie, salute umana, animale e vegetale.
* L’Unione Europea non intende procedere alla rinegoziazione dei contingenti tariffari stabiliti negli accordi di libero scambio in vigore con i Paesi terzi; ritiene che sia troppo complesso e rinvia eventualmente a dopo il 2020.
Ma quanto è più grave è che non intende nemmeno riproporzionare le proposte in discussione nei negoziati in corso, quale ad esempio quello con il Mercosur.
(Nell’ambito della Task force Brexit Confagricoltura e FNSEA hanno contestato fortemente questa decisione).
* La UE chiede il riconoscimento delle IIGG sia esistenti che future. La sua posizione, quindi, sembrerebbe piuttosto in linea con quella di puntare al riconoscimento dell’intero regime delle denominazioni europee, del sistema in quanto tale, e non di una lista limitata di prodotti.
Risulta che l’UK, invece, intenda rinviare il dibattito al negoziato.